CORRIERE DELLA SERA
mercoledi, 24 gennaio 2001
BIOLOGIA GENETICA


ANTEPRIMA. Dopo anni di ricerche Jean Claude Ameisen ha scoperto che gli organismi base sono programmati per autodistruggersi. Un'avventura raccontata in un saggio.

CELLULE La vita comincia con un suicidio

Ma le strutture
complesse
si rifiutano
di morire

Edoardo Boncinelli

«Siamo della natura delle foglie che reca Primavera odorosa» dice Mimnermo in una struggente lirica di venticinque secoli fa. Siamo veramente della natura delle foglie, non solo al livello di individui, mortali per eccellenza, brotòi dice Omero, ma anche a livello delle nostre cellule. Ogni cellula del nostro corpo ha la potenzialità di suicidarsi a ogni istante e sopravvive soltanto perché, e finché, non lo fa. Questa la conclusione di più di dieci anni di esperimenti di biologia cellulare e questo è il tema del libro di Jean Claude Ameisen Al cuore della vita che sta per uscire da Feltrinelli. Insomma, la sopravvivenza delle nostre cellule è la conseguenza di una loro decisione di non morire di propria mano. Le cellule degli animal i sono infatti programmate per morire in qualsiasi momento, in risposta a un segnale convenuto. A volte lo fanno; più spesso non lo fanno. Questa è la vita di una cellula. Al cuore di questa vita c'è il rifiuto della morte. Il suicidio programmato delle varie cellule viene chiamato «apoptòsi», un termine della tarda grecità che designa proprio la caduta delle foglie. L'uomo ha sempre assistito, ammirato e incuriosito, allo spettacolo della caduta delle foglie alla prima ventata d'autunno. Per lungo tempo si è ritenuto che si trattasse di un accidente, una risposta passiva alla violenza degli elementi, anche se ciò accade solo per certi tipi di piante, quelle appunto che d'inverno perdono le foglie. Oggi sappiamo che non è così. La cadut a delle foglie è un fenomeno attivo e programmato. Quando è tempo, le cellule alla base del picciolo di ogni foglia cominciano spontaneamente a morire una dopo l'altra, finché non c'è più materia viva che tenga la foglia avvinta al ramo e la prima brezza se la porta via. La caduta annuale delle foglie è divenuta, così, il prototipo dei fenomeni connessi con la morte cellulare programmata e a questa curiosa proprietà della materia vivente ha prestato il suo nome. Vita, quindi, come non morte. Ci si chiederà quale può essere l'utilità di un meccanismo biologico così contorto e del tutto estraneo alla nostra intuizione. Il punto è che la morte programmata delle cellule è necessaria. E' necessaria durante lo sviluppo embrionale (per perfezionare le strutture corporee dell'individuo che si sta formando e per la più appropriata strutturazione del suo sistema nervoso) ed è necessaria durante tutta la vita, allo scopo dire quelle cellule del corpo che potrebbero danneggiarci. Prendiamo, ad esempio, la formazione delle dita di una mano o di un piede. Nell'embrione di una certa età le dita sono unite fra di loro da un setto dermico, una sorta di membrana palmare. Le cellule di questo setto andranno poi incontro a un processo di morte programmata e le dita si separeranno l'una dall'altra. Questo fenomeno è controllato geneticamente: le dita della zampa di un pollo si separano, come le nostre, prima della nascita, mentre quelle di un papero o di un cigno restano unite per tutta la vita. Con un meccanismo analogo si separano anche il radio e l'ulna nell'avambraccio e si forma l'avvallamento cutaneo corrispondente alle pinne del nostro naso. La morte cellulare serve cioè a rifinire la forma del corpo, scolpendone i dettagli più minuti nel quadro di una fantastica, raffinata opera di cesello. In questi casi le cellule che sono destinate a morire, o meglio a suicidarsi, sono stabilite fin dall'inizio con precisione e non possono essere altro che quelle. Esistono invece altre situazioni nelle quali è prevista una certa quantità di morte cellulare programmata, ma non è stabilito a priori quale cellula deve morire e quale no. Si è accertato, ad esempio, che un buon 15% di tutte le cellule nervose, o neuroni, che si originano nel sistema nervoso centrale di un mammifero va incontro a morte nelle prime fasi del suo sviluppo. In certe specifiche regioni del cervello non meno del 60% dei neuroni muore, obbligatoriamente. In questo caso è stabilito geneticament e che qualcuno deve morire e vengono forniti gli strumenti necessari per mettere in atto questa decisione, ma non è stabilito con precisione chi deve morire. Per molti neuroni si accende una vera e propria competizione. Ciascuno di loro tenta di raggiungere mediante una sua propaggine, chiamata assone, il proprio tessuto bersaglio. Quelli che raggiungono prima l'obiettivo previsto sopravvivono, gli altri muoiono per strada. Il fattore limitante è la concentrazione locale di alcune sostanze, come ad esempio l'Ngf, il nerve growth factor, scoperto da Rita Levi Montalcini. Queste sostanze si comportano come veri e propri fattori di sopravvivenza. Il neurone che riesce a sistemare le proprie propaggini in maniera da usufruire di una sufficiente quantità di questi fattori sopravvive, mentre gli altri muoiono. Questo processo serve a stabilire una volta per tutte i dettagli delle nostre connessioni nervose. Si tratta di un'altra opera di cesello, realizzata nell'organo più complesso e raffinato che possediamo e portata a termine durante le ultime fasi della vita embrionale e immediatamente dopo la nascita. C'è chi pensa, a questo proposito, che qualche dettaglio di questa rifinitura finale sia scolpito anche sulla base delle nostre prime esperienze di vita. Un altro esempio di morte programmata ma non determinata si ha nella maturazione delle cellule T, quei globuli bianchi del sangue che controllano le nostre difese immunitarie (e che sono selettivamente colpiti dal virus del l'Aids). Solo il 2-3% di quelle che nascono raggiungono la maturità e riescono a entrare in ballo. Questo processo di maturazione e di «educazione» delle cellule T implica perdite enormi, però la posta in gioco è pure enorme. Fra le cellule T immature che vengono prodotte quotidianamente figurano anche quelle pronte ad attaccare alcune parti dell'organismo stesso e che sono dette cellule T autoreattive. Queste cellule vanno bloccate, nell'e tà infantile e per tutta la vita. Esistono vari sistemi per bloccare la proliferazione di ceppi cellulari indesiderati, ma uno dei più sicuri è la loro eliminazione fisica. Questo è proprio quello che succede alle progenitrici delle cellule T autoreattive durante il processo di maturazione. L'eliminazione di queste cellule è necessaria per la sopravvivenza dell'intero organismo, anche se non è stabilito a priori quali cellule saranno sacrificate e quali no. Quando le istruzioni di morte arrivano a una determinata cellula T, qualunque essa sia, questa si suicida, secondo un protocollo prestabilito e controllato da geni specifici, che cominciamo oggi a conoscere uno per uno. Una delle cose più interessanti di tutta questa storia, narrata con molto rigore e maestria nel libro di Ameisen, è che tutti questi geni sono stati originariamente individuati in organismi estremamente diversi da noi, come i vermi nematodi e il moscerino dell'aceto, organismi che si sono rivelati e si rivelano d'enorme importanza per la comprensione della nostra biologia, e in definitiva della nostra stessa natura. «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie», per dirla con un altro poeta. Ma si sta. E si indaga e ci si interroga, come si addice a un orgoglioso giunco pensante.

Il libro: Jean Claude Ameisen, «Al cuore della vita» Feltrinelli, pagine 440, lire 40.000