IL GIORNO
Giovedi 1 Marzo 2001
pagina 7

LA SCOPERTA E' rivoluzionaria la teoria sul «suicidio cellulare » del biologo francese J. C. Ameisen

Al cuore della vita c'è... la morte
di Francesca Amoni

MILANO - (Fr. A.) L'immunologo e biologo francese Jean Claude Ameisen era ieri a Milano a presentare il suo suggestivo saggio "Al cuore della vita" (Feltrinelli). Un testo scientifico che si fa leggere con estremo piacere, perché l'autore ci conduce nei più profondi misteri della biologia, usando miti, esempi, riferendo ricerche sue e di altri studiosi con lo stupore e la semplicità di un bambino. Sino ad arrivare alla sua teoria che ha rivoluzionato il modo di intendere il funzionamento del nostro corpo, di vedere la malattia e l'invecchiamento, aprendo anche nuove vie di cura a diverse malattie. La sua ipotesi è che la morte delle cellule che compongono il nostro organismo non è causata da accidenti, logoramento del tempo ed aggressioni da parte dell'ambiente esterno, così come si è sempre creduto. La morte, la facoltà di autodistruggersi è una possibilità presente in ogni nostra cellula in ogni momento e per l'intero arco della sua durata e la vita nasce paradossalmente dalla negazione di questa forza distruttiva. Difficile, per ora, arrivare al controllo ultimo sulla vita e sulla morte, perché le nostre cellule sono società complesse, in ricomposizione permanente, vortici caotici sempre in movimento dove la vita e la morte si intrecciano.

La facoltà di autodistruggersi è innata
Ora si può pensare di inibirla e di vivere a lungo senza invecchiare

Professor Ameisen, la sua teoria del suicidio cellulare quali nuove vie di cura prospetta?
« Questa ipotesi ha permesso di intravedere tipi di trattamenti inimmaginabili sino a 10 anni fa. Cioè, impedire la morte delle cellule, malgrado la persistenza della causa che porterrebe alla morte. Impedendo semplicemente l'autodistruzione delle cellule. Da un punto di vista concettuale è una rivoluzione e tutti gli esperimenti che sono stati fatti sugli animali negli ultimi 5 anni hanno dimostrato che questo è fattibile. I risultati sono stati spettacolari ma per ora è impossibile dire quando come e se ci saranno risultati notevoli.»

La malattia, lei scrive, è una confusione di segnali che porta al suicidio delle cellule. Come intervenire su questi segnali?
« Ci sono tre possibilità per impedire alle cellule di autodistruggersi in risposta a un segnale di morte: utilizzare farmaci che no permettono alle cellule di avvertire i segnali; oppure sostanze chimiche che impediscono alle cellule di trasmetterli. La terza soluzione è di aggiungere all'interno o all'esterno delle cellule molecole che fanno sì che queste cellule sopravvivano, anche se ricevono i segnali di morte. La quarta soluzione sarebbe eliminare la causa della malattia, ma noi stiamo parlando di guarire in sua presenza. »

Come si colgono i segni di suicidio cellulare?
« Non c'è cadavere cellulare. Quando una cellula imbocca la via dell'autodistruzione, avviene l'apoptosi, un termine greco che vuol dire "caduta" ed è un atto ordinato di cancellamento di sé. Ma è anche un atto che chiama in causa altre cellule vicine che riconoscono la morte imminente dell'amica e l'assorbono e la fanno scomparire. Tutto si svolge molto velocemente. Et è per questo che gli studiosi non hanno potuto per molto tempo cogliere l'importanza, la frequenza dei fenomeni di suicidio cellulare nel nostro corpo. »

La morte, nella sua teoria, sta dentro la vita. Non è più un elemento esterno. Allora ci dovrebbe spaventare di meno? Come vede dopo i suoi studi la morte?
« Non c'è un'opposizione tra vita e morte. La vita non può impedire la morte e allora la accetta, rendendola utile. Il senso profondo della morte corrisponde all'avventura biologica della vita. Fa parte del modo con cui noi siamo costruiti e bisogna rivedere questa idea di scacco e di maledizione. »

Ma ci sono tanti studiosi al lavoro per spostare i confini della vita...
« Bisogna accettare la morte come parte integrante della vita, ma ci può anche essere il desiderio di modificare le regole del gioco. Non per arrivare all'immortalità, che non ha senso. Ci sono modalità di relazione tra la vita e la morte che possono essere trasformate. Prima bisogna capire e poi modificare i rapporti con la morte. Oggi si può vivere 90-100 anni, un domani si potrà arrivare a 150. Un topo vive un anno e mezzo e un pipistrello 30. Ci sono piante che vivono poco e altre tanto. La durata è modificabile, ma non bisogna sbarazzarsi della morte. Bisogna semplicemente modificare il dialogo tra la vita e la morte. Per molto tempo si è creduto che la vecchiaia dipendesse dall'usura, e si è prolungata la vita, semplicemente allungando la vita da vecchio. Ora si sa che la longevità e l'invecchiamento sono legati a meccanismi di costruzione di vita e se questi si modificano si può allungare il tempo della giovinezza. Per ora, si è riuscito a farlo sugli animali. Per l'uomo ancora non si sa, né quando, né come. E bisogna essere sicuri che questo non provochi danni alla sua salute e alla sua felicità. »

Francesca Amoni