Il Sole 24 Ore
25-02-2001
pagina 32

Gli stessi meccanismi di sopravvivenza degli insetti sociali sono presenti in esseri viventi complessi come l'uomo

La cellule fa hara-kiri per il bene dell'organismo

di Gilberto Corbellini

Ma un "sucidio" sbagliato
può provocare il Parkinson o l'Alzheimer

In un suggestivo saggio intitolato La sociogenesi delle colonie di insetti, Edward 0. Wilson paragonava la formazione di una colonia di insetti sociali alla morfogenesi di un organismo a livello delle cellule e dei tessuti. E, recentemente, è stato ipotizzato che un gruppo di individui che si comportano altruisticamente funzioni come un "superorganismo" e in questo modo risulterebbe favorito dalla selezione naturale.

Il problema per cui però non era stata ancora trovata una soluzione è come venga concretamente esercitato il controllo sociale sul comportamento delle cellule o degli individui, di modo che si affermi quel particolare piano di sviluppo di un animale che è in grado di agire coerentemente e riprodursi, o che emerga da una coppia di termiti una società che si comporta come se fosse un organismo.

Negli ultimi anni è venuto alla luce un meccanismo che potrebbe spiegare in un modo del tutto imprevisto l'origine delle diverse aggregazioni sociali di individui sperimentate dall'evoluzione biologica. Secondo Jean Claude Ameisen si tratta dalla possibilità di scatenare la morte prima del tempo nelle entità biologiche che si organizzano in società, che si tratti di colonie batteriche, o di insetti sociali o animali multicellulari.

Immunologo e biologo cellulare, Ameisen ha scritto un testo teorico-divulgativo tra i più belli e originali degli ultimi anni. Peccato che la traduzione non sia all'altezza, a cominciare dal titolo: quello originale è La sculpture du vivant. La tesi di Ameisen è che l'apoptosi o morte cellulare programmata, vale a dire la morte "prima del tempo", sia la chiave per spiegare l'evoluzione e la storia individuale delle strutture multicellulari differenziate e complesse, come sono i corpi animali, nonché di alcune forme di organizzazione sociale di particolare successo, come le popolazioni di microrganismi o le società degli insetti.

Apoptosi è un termine forse oscuro, ma di cui è il caso di impadronirsi, dato che è parte integrante e fondamentale del lessico biomedico. Fu proposto nel 1972 per definire un particolare tipo di morte cellulare, diverso dalla necrosi. Mentre le cellule che muoiono per necrosi nel corso delle reazioni infiammatorie esplodono, nell'apoptosi la membrana cellulare non si rompe e si osserva una sorta di collasso e frammentazione direttamente all'interno della cellula. Il nuovo termine voleva richiamare il significato antico, riferito al cadere delle foglie. In realtà, il temine fu usato anche da Ippocrate per descrivere il calo delle ossa dovuto alle cancrene. In Galeno descriveva la caduta delle croste, mentre il suo più illustre paziente, Marco Aurelio, lo usò come sinonimo di rovina e decadenza politico-sociale.

Da diversi decenni si sapeva che la morte delle cellule nel corso dello sviluppo serve a scolpire la forma del corpo, per esempio quando si devono separare le dita della mano. Nella seconda metà degli anni Ottanta si è quindi dimostrato che la morte cellulare viene utilizzata per selezionare le popolazioni di linfociti che sovrintendono al controllo del sé immunologico e per strutturare le reti nervose che incorporano il sé psichico. La scoperta che questa morte è programmata e controllata da geni e proteine particolari attraverso un meccanismo che sopprime l'azione di specifici esecutori del suicidio, normalmente presenti nelle cellule, ha portato alla conclusione che le cellule hanno bisogno di segnali dal contesto sociale in cui si trovano per non suicidarsi. Si è poi visto che l'acquisizione dell'incapacità di suicidarsi da parte delle cellule è uno dei passaggi cruciali nella progressione delle cellule tumorali verso la malignità fatale, ma anche dell'insorgenza delle malattie autoimmuno. Per contro, il suicidio cellulare attivato in modo sbagliato può causare il Parkinson o l'Alzheimer.

In pratica, è stato acquisito il concetto che la morte programmata risponde all'esigenza di un controllo sociale sulla vita della cellula individuale, che con l'evoluzione della multicellularità avrebbe maturato questa caratteristica altruistica di rimettere la propria sopravvivenza nelle mani della collettività di cui è parte. La ribellione o meglio l'incapacità di riconoscere e rispondere adeguatamente ai segnali di sopravvivenza e morte spiega quindi la patogenesi di molte malattie infettive e degenerative.

Questa scoperta inizialmente sembrava non interessare gli organismi unicellulari, dove il controllo sociale della sopravvivenza non dovrebbe servire. Si è visto, invece, che l'apoptosi avviene anche in alcuni eucarioti unicellulari come i Tripanosomi, e che si tratta di un meccanismo utilizzato per regolare la sopravvivenza e i cicli di sviluppo di questi parassiti. Questa scoperta ha indotto Ameisen a ipotizzare che la morte cellulare programmata e quindi il controllo sociale della sopravvivenza cellulare abbia avuto origine con le prime cellule, le quali svilupparono dei meccanismi molecolari per lavorare e riparare il DNA. Meccanismi che comunque potevano andare al di là della loro funzione e quindi dovevano essere tenuti sotto controllo da inibitori. Da questi "moduli costruttori", costituiti da esecutori e inibitori, si sono quindi evoluti dei "moduli di dipendenza", che hanno consentito alle cellule batteriche di acquisire dei geni killer che producono tossine e la cui azione è controllata da geni che codificano degli antidoti. I moduli di dipendenza sono stati quindi utilizzati dalle popolazioni batteriche genomicamente uniformi per esercitare un controllo collettivo e una selezione della progerie in grado di affrontare meglio situazioni ambientali avverse. Una volta inventato, il modulo di dipendenza è stato adattato, come in un continuo lavoro di bricolage, a varie situazioni. Per esempio avrebbe consentito lo sviluppo della cellula eucariote come simbionte nato dalla fusione di diverse specie batteriche, con l'acquisizione dei mitocondri, che sono la centrale energetica della cellula ma si sono anche rivelati implicati nell'innesco della morte cellulare.

Assumendo il principio che la morte prematura, attraverso l'utilizzazione dei moduli di dipendenza dalla comunicazione intercellulare, rappresenta la chiave per consentire lo sviluppo delle società cellulari, Ameisen descrive in modo essenziale ma chiaro come funziona nei processi di scolpimento della forma animale. nella costruzione del sé immunitario e della morfologia del cervello, e nel controllo dell'invecchiarnente. In questo libro egli sfida diversi luoghi comuni della biologia, tra cui l'idea affermatasi oltre un secolo fa con August Weismann che gli organismi unicellulari siano immortali. In particolare ricorda la recente scoperta che nella riproduzione del lievito, in un organismo unicellulare, in realtà già si osserva una rottura di simmetria in cui le cellule che emergono dalla scissione non sono equivalenti: una è la madre e una la figlia, e la madre può figliare un numero finito di volte e poi si estingue.

Una grande qualità di questo libro e la travolgente tensione speculativa, oggi inusuale tra ricercatori fortemente specializzati, che arriva a toccare settori tra loro apparentemente irrelati come la cancerogenesi e l'evoluzione degli insetti sociali. Non meno degni di nota sono il respiro culturale, nonché un sano pragmatismo teorico, per cui Ameisen si dimostra tranquillamente aperto alla possibilità che al di là dei principi di organizzazione molecolare definiti più o meno meccanicisticamente in termini di interazioni genetico-molecolari regolative, esistano ulteriori livelli di controllo della fisiologia organica dove entrano in gioco dinamiche quantitative e fenomeni di auto-organizzazione mediati da nuovi e al momento sconosciuti principi funzionali.

Gilberto Corbellini

Jean Claude Ameisen, "Al cuore della vita. Il suicidio cellulare e la morte creatrice", Feltrinelli, Milano 2001, pagg. 370, L. 40.000.
L'autore presenterà il volume domani a Roma, ore 14, presso l'aura Magna della Facoltà di Medicina e Chirurgia Tor Vergata e mercoledi 28 febbraio a Milano, ore 18, nella Libreria Feltrinelli di Piazza Duomo.